LA RIFORMA NECESSARIA

Questo documento, condiviso e sottoscritto dall’assemblea autogestita degli studenti di Lettere e Filosofia, a seguito del blocco della didattica di via Balbi 4, è il comunicato ufficiale con il quale ci rivolgiamo al Magnifico Rettore e ai vertici dell’Università di Genova.

Il
6 agosto scorso è stata approvata una riforma che sancisce la morte
dell’università pubblica italiana: il Parlamento Italiano ha
convertito in legge un decreto che prevede la riduzione dei fondi
(500 milioni in meno in tre anni) destinati all’università, con il
rischio per molti corsi, facoltà o addirittura atenei di chiudere i
battenti. Si paventa la possibilità per gli atenei che non
riuscissero ad andare avanti con i fondi pubblici di diventare
fondazioni private, il che implica che le tasse di iscrizione
potranno arrivare ad essere anche 10 volte superiori al tetto massimo
attuale.

Questo
non è che il colpo di grazia. L’università negli ultimi dieci anni
ha vissuto un clima di riforma permanente, che progressivamente ha
limitato sempre più l’accesso alla formazione, dequalificato i
saperi e svuotato di significato e utilità i corsi di laurea: a
livello diffuso c’è un senso di inutilità dell’università, che non
fornisce nessuna garanzia rispetto al futuro degli studenti; è agli
occhi di tutti il fallimento del sistema del “3+2”, che ha
portato a una frammentazione e compressione dei corsi e nessun
cambiamento sostanziale nella didattica.

L’università
è ridotta a strumento del mercato: crea figure precarie, abituate e
pronte a farsi inghiottire da un sistema basato su competizione,
flessibilità, scarse sicurezze rispetto al proprio futuro, senza
battere ciglio. L’università è un nodo centrale della produzione:
fornisce attraverso stage formativi manodopera gratuita alle aziende.
A questo si limita l’intervento dei privati nell’università
italiana: ottenere lavoratori giovani, privi di diritti, a costo
zero, da sfruttare per qualche mese.

L’università
è essa stessa azienda: assume personale a tempo determinato da
impiegare nel lavoro di segreteria, nelle biblioteche, nei laboratori
con contratti a tempo determinato e scarsi diritti. Da qui a pochi
giorni nell’università di Genova circa 500 di questi lavoratori
precari perderanno il posto di lavoro e molti dei servizi erogati
agli studenti verranno inevitabilmente tagliati.

Anche
la ricerca è sottoposta alle stesse logiche di mercato: in alcuni
atenei i ricercatori si vedono proporre contratti della durata di
appena 6 mesi. Cosa si può ricercare in meno di un anno oltre al
prossimo contratto di lavoro? Inoltre i tagli della riforma
Gelmini-Brunetta sanciranno definitivamente la morte della ricerca
libera, subordinando
l’alta
formazione a finanziamenti privati legati alle logiche di mercato.

L’università,
quella di Genova in testa, è una piramide rovesciata, con una base
piccola piccola fatta di ricercatori, dottorandi e borsisti e un
vertice pesantissimo fatto di baroni intoccabili e strapagati.

È
un’università nella quale gli studenti sono relegati al ruolo di
spettatori: non c’è nessun coinvolgimento nella didattica, nessun
incentivo alla produzione di saperi altri, nessuno stimolo alla
ricerca, solo lezioni frontali, nozioni da imparare e ripetere, una
didattica spesso autoritaria e sempre unidirezionale.

L’università
frammenta le esistenze ed esperienze, ognuno confinato nella propria
facoltà, nessuno scambio di conoscenze, nessuna condivisione di
esse, ognuno col suo pacchetto di sapere specifico. Tutto è
finalizzato al poter spendere queste precise conoscenze sul mercato:
se non si crea movimento di denaro la cultura è ritenuta inutile,
una spesa e basta.

Nessun
investimento è fatto sugli studenti, che sono considerati una spesa
per la società: tutto ciò che si vuole imparare lo si deve pagare.
Le leggi sul copyright limitano la circolazione e la condivisione dei
saperi, se non si hanno i soldi per comprare i libri si rimane
ignorante. E poi le tasse, il cibo, i trasporti, gli affitti: nessuno
sconto. La figura di studente universitario non ha nessun
riconoscimento a livello sociale: o paga papà, oppure si paga
lavorando; insomma o mantenuto o studente-lavoratore, l’università
è considerata un lusso che va pagato!

Tutto
è scomposto e frammentato: a tot pagine studiate corrispondono tot
crediti, a tot ore di lezione tot crediti, a tot ore di stage tot
crediti. Il concetto “il tempo è denaro” è stato rimodellato
per arrivare al concetto di crediti formativi: visto che, finché si
leggono dei libri, non si produce niente di materiale, invece che
denaro spettano crediti formativi.

Nell’università,
proprio come nelle catene della grande distribuzione, non ci sono
spazi per la socialità: come ai dipendenti di Esselunga è vietato
fraternizzare in modo che non possano scoprire bisogni e problemi
comuni e quindi condurre battaglie sindacali comuni, così le
esistenze degli studenti sono frammentate in modo da non fare
scoprire aspirazioni, desideri ed esigenze comuni, necessari a
costruire un’identità comune e portare avanti rivendicazioni
concrete.

Non
solo l’università, ma il sistema formativo in generale stanno
fallendo e la crisi viene affrontata con la pantomima dell’autorità:
il maestro unico, il grembiule, il voto in condotta, la soluzione
proposta dalla Gelmini è un autoritarismo didattico che coinvolge
tutto il ciclo formativo.

La
riforma dell’università è già legge, non c’è più tempo per
l’attesa, è tempo di agire, è tempo che gli studenti siano
protagonisti e determinino il proprio futuro e quello dell’istruzione
di questo paese.

Bisogna
riprendere in mano le relazioni sociali, confrontarsi, parlare,
muoversi, produrre conflitto dentro e fuori gli atenei, per far
nascere una critica radicale a questo sistema e una nuova università,
libera, autonoma, accessibile a tutti, critica, svincolata dalle
logiche di mercato e sensibile alle esigenze delle persone che la
vivono ogni giorno.

Non
abbiamo nulla da perdere. Se non ora quando?


Chiediamo
ufficialmente al Magnifico Rettore dell’università di Genova di:

  • istituzionalizzare
    il blocco della didattica in tutto l’ateneo genovese

  • esprimersi
    chiaramente sulla situazione dei 500 precari che vanno incontro al
    licenziamento

  • prendere
    l’impegno formale e scritto che
    durante
    il corso del suo mandato, l’Università di Genova non verrà
    trasformata in fondazione privata

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